"Il libro essenziale, il solo libro vero, un grande scrittore non deve inventarlo, poiché esiste già in ciascuno di noi, ma tradurlo. Il dovere e il compito di uno scrittore sono quelli di un traduttore".                                                    Marcel Proust


Anno scolastico 18/19


Alberi e storie: uso del punto di vista


Io, L'albero e i miei amici 

di Gabriel

 

E' un giorno caldo, è estate.

Io ed alcuni miei amici eravamo sopra ad una collinetta. Lui ci stava già aspettando.

C'era un qualche venticello, qua e là,giusto per farci respirare da quanto faceva caldo.C'era tanto verde e un piccolo posto all'ombra dove sederci.

"Ciao ragazzi!"

Nessuno lo sentiva, nessuno sapeva della sua esistenza: forse nemmeno io.

Lui ci aspettava tutti i giorni, è da poco che lo so e alle volte ora ci sono giorni che mi chiedo se gli piace la vita che sta facendo. Ha anche lui voglia di "spostarsi" come piace a me o preferisce starsene lì? Boh! Io questo non lo so.Lui è vecchio, potrebbe essere mio nonno se non di più, ma ha la mente di un giovane come noi.

Sarà per questo che ha tante esperienze e ci comprende alla perfezione.

Quando ti annoiavi ad aspettare chi doveva ancora arrivare potevi startene lì a fumare ancora un sia girata o qualcosa di simile senza preoccupazioni e fare due chiacchiere con lui.

"Ciao Gabri, come stai?"

"Così, così"

"Sicuro che non hai niente da dirmi?"

"Boh forse, cioè, sì non lo so..."

"Sai che se hai bisogno di me ci sono"

"Ecco non lo so: dovrei essere come uno scoiattolo che cerca con tutte le sue forze di arrivare in cima ad un pino marittimo o un barbone che se ne sta seduto lì sotto un albero senza produrre niente nella vita?"

L'albero non rispose, solo un piccolo fruscio e subito dopo il trambusto dei miei amici che stavano arrivando.

Per noi quella collinetta era diventato il nostro punto d'incontro.

Sono già passati quattro anni, ognuno se ne è andato per la sua strada. 

Nessuno si è più visto e anche l'albero che ci legava non ha più avuto nostre notizie.


Racconto di  racconti autobiografici. Classe 2B meccanici

Florilegio da testi vari

Lei era ingannevole come lenti a contatto colorate, come il chiarore del sole che a guardarlo a lungo ti abbaglia, scombussolandoti. Solo dopo che conosci veramente una sirena, capisci che le sirene sono solo nei film. V.

 

Oggi questa croce si trova in camera mia, sopra il letto, appesa...sembra che mi parli  e mi dica : " A. lo sai? Quando eri piccolo non mi toglievi mai; però adesso mi hai tolto e sono solo un oggetto passato nella tua testa"...Quella croce sarà sempre parte di me  anche se non la indosso, perché è come incisa sulla mia pelle" A.

 

Penso che non fossi ancora in grado di catalogare pienamente le emozioni, quindi non so se sia stato un momento brutto o bello...La stretta di mano me la ricordo: era molto salda, quasi da non farmi scappare, ma non come al solito, di più. E questa sensazione io la notai...Mia madre mi guardava come se le avessi strappato via qualcosa e io non capivo. rimase un paio di secondi a guardarmi sconfitta, abbattuta, demoralizzata. D.

 

Di lassù riuscivo a vedere tutte le case nei dintorni, alcune gialle e altre verdi che si confondevano con la natura. Iniziavo ad avere sempre più freddo mi stavo congelando, non avevo più la percezione di ciò che i miei piedi sentivano: Avevo solo 12 anni nell'estate del 2015 e mi trovavo in cima ad una piattaforma  alta 25 metri con circa 50 pupille che mi stavano fissando. F.

 

Io di fronte ad un'onda nera e grossa: la paura che provavo in quel momento era indescrivibile, non sapevo come affrontarla...Ad un tratto tutto si fece buio, sentivo il respiro che mi mancava e la voce dell'ondata che mi aveva travolto; sentivo anche quelle piccole schegge di pietra conficcarsi nel mio volto.  Pur essendo microscopiche facevano male come una decina di pugni tirati in faccia.Tutto questo in un arco di pochi minuti. G.

 

Io, la mia carabina rossa e un bersaglio nero: solo quello mi separa da 10 posizioni prese o perse. "Ricordati di dimenticare la paura"più facile a dirsi che a farsi; l'ansia era quella di un tiratore novellino come me che gareggiava per il titolo italiano a Roma. P.

 

Di alcuni momenti della gara non ricordo niente, come se il cervello si fosse spento, come quando fai un sogno e sai che lo hai fatto ma non te lo ricordi...Alla fine di quella gara ho imparato che ci sarà sempre qualcuno più forte di te, ma se credi veramente e ci metti cuore puoi anche riuscire a sconfiggere quelle determinate persone. M.

 

Sono cresciuto con l'idea di voler diventare subito grande: lavorare, avere una macchina, una casa, Ho cambiato idea. Alla fine essere grandi comporta molti sacrifici, se vuoi ottenere qualcosa nella vita nulla è semplice, comporta anche molte delusioni o rabbia. Ora  non penso più di diventare grande perché semplicemente lo diventerò e nemmeno me ne sarò accorto. G.

 

Seduto sopra una panchina antica e scricchiolante, sentivo un profumo di legno bagnato; Era estate ; vedevo delle fontanelle e sentivo il rumore dell'acqua che scadeva piano piano come quando una lacrima cade su un foglio. D.


Racconti horror da 1 minuto della classe 2Ael

L'ultima volta

Erano anni che non c'era un inverno così freddo e ghiacciato. Quasi quanto la mia pelle.

Nonostante questo, erano tutti lì. La mia famiglia. C'erano pure quei parenti che non incontri  quasi mai. Sembrava quasi una festa.. Nonostante tutto. Io ero felice di vederli. Le loro espressioni e le loro parole mi facevano capire che tipo di persona ero stata. Mi sarebbe scappata una lacrima, se avessi potuto. Non so se avrò il piacere di rivederli tutti di nuovo. Poi mi calarono nella terra. E fu buio.

Bryan

 

 

Porte

Mi risveglio in una stanza. fredda, semi buia, una lampadina con una luce debole che va e viene. Aria stantia. Non c'è lo zaino sulla sedia, l'occhio rosso della tv. Mi alzo, corro preso dall'agitazione. Apro la porta cigolante, di scatto, così velocemente e forte che la frangia sul viso mi si sposta.

Un corridoio vuoto, luci ad intermittenza.Cammino scalzo. Trovo due porte ai lati. Apro lentamente la porta di destra:è la stessa stanza dove mi sono svegliato, ma con un'altra porta. Cammino a passi pesanti ad aprirla. Stessa stanza, senza finestre, un'altra porta. Stessa cosa. Corro indietro con il sangue congelato nelle vene e le lacrime agli occhi; singhiozzando, tremando apro la porta a sinistra. Altre stanze: sono come quelle che ho già aperto. Provo ad aprire l'ennesima porta, ma sento uno scricchiolio.

Proviene dal corridoio. Grido:" C'è qualcuno?" Le luci si fanno sempre più intermittenti, un rimbombo assorda le mie orecchie, ancora lo scricchiolio. Le luci impazziscono, quasi non vedo dove sono.

Un respiro affannoso, nel buio del corridoio intravvedo qualcosa.

Sembra un uomo, ma a metà, occhi rossi, corna giganti, un muggito feroce. 

Salta la luce.

Henri

 

Il mio ultimo treno

Era l'ultimo treno quello delle tre di notte. Non c'era nessuno nel vagone. Fuori pioveva. la luce al di sopra di me lampeggiava. Era rotta. Il treno si fermò. Qualcuno entrò. Mi sembrava di conoscerli: erano due miei amici.Mi videro, si avvicinarono e si sedettero.

Mi fissavano. Le loro pupille erano dilatate. I loro visi non mostravano espressioni. Cominciavo ad avere paura. I loro strani sorrisi non suggerivano niente di buono.Si alzarono. Io era atterrito.Si sedettero al mio fianco e appoggiarono le loro mani sulle mie spalle. Mi sussurrarono all'orecchio. Mi addormentai.

Al risveglio, mi ritrovo qui. Al buio. Stretto. Come se fossi in una cassa. di legno.

Gianluca

 

L'incubo

Young dormiva stanco nel suo letto, quando improvvisamente un rumore lo svegliò.Di passi e di colpi fortissimi.Si alzò dal letto. Rimase sveglio per un po'. Altri rumori inquietanti.Capì che non provenivano da fuori, ma dalla casa. Spinse l'interruttore della luce, impaurito. La corrente non funzionava. Lo prese il panico. Buio totale. Da un cassetto Young tirò fuori una torcia per fare luce. Vide i muri della sua stanza. Delle scritte  di sangue colavano sul pavimento, lentamente.

Andrea

 

Il mio amico

Andavamo verso casa sua, era tardi, notte buia, ma io non volevo tornare da mia madre: la odiavo. Lui mi offrì da mangiare e mi chiese di non fare rumore che se no qualcuno in casa si sarebbe svegliato. Chiesi chi, ma non mi rispose.

Dormii accanto a lui ma, a mezzanotte, mi svegliai per andare in bagno. Sentii dei passi , sempre più vicini. Come se qualcuno volesse aprire la porta. Sentivo dei brividi nel corpo. All''uscire dal bagno nel pavimento, vidi una foto di lui con un signore. Mi chinai per raccoglierla. Poi sentii lui che diceva: " Non fargli del male è un mio amico!". Io non capivo. Intanto arrivò un tuono da fuori e mi fece paura. Andai piano, piano verso di lui che mi voltava la schiena. Gli toccai la spalla. Si girò. Lo vidi. Era tutto coperto di nero, non riuscivo a vendergli il viso, solo il sorriso. Mi tirò dentro la stanza. Lui giaceva  nel letto. Quell'altro chiuse la porta. Poi fu tutto buio.

Ale

 

Quella maledetta porta

Ero a casa da solo in una notte buia. Fuori c'era il vento che faceva sbattere le persiane  e dei tuoni fortissimi. Ero nel mio letto con le coperte calde fino al collo, la mia stanza era insolitamente troppo buia e fredda.

Rumori strani provenivano dal piano di sotto.  Piano piano si facevano sempre più frequenti e inquietanti. Sentivo cigolare la scala in legno: sembravano passi di un uomo grosso e pesante.Vidi un luccicare al di là  del vetro della porta. Il mio istinto mi diceva di chiudere gli occhi  e fare finta di dormire. Sentivo questi paesi sempre più vicini fino a che la porta si aprì.

Nicolò

 

Il campeggio

Ero nel bosco dove sono nato, un posto speciale per me, familiare: era come se gli alberi mi parlassero.

Come dicevo ero  nel bosco pronto per fare il campeggio. Accesi un fuoco e presi il libro che leggevo tutti i giorni.

Le undici di sera: ero pronto per andare a dormire.

Sentii dei passi sulle foglie secche. Non erano rumori forti, ma neanche deboli. Sentivo qualcosa come una presenza, occhi fissati su di me. Un respiro lento. Piano , molto piano. Forse era qualche animale.  Ho deciso di tentare di dormire.

Alle tre e trentatré  sentii altri passi ma molto più forti i più vicini. Aprii gli occhi e vidi una sagoma: alta, grossa. In mano aveva qualcosa. Uscii per vedere chi fosse.

ERA LUI.

Johnny

 


Scriviamo le emozioni

Da una foto alla scrittura.

Delusioni

Sono molto delusa di me stessa, pensavo di essere migliorata invece mi ritrovo qui, nascosta da tutti, a piangersi addosso come se il mondo fosse caduto su di me. Mi staranno cercando tutti, sono scappata via per non farmi vedere. Penso che è solo una gara persa tra tutte quelle che ho vinto; ma allora a cosa sono servite tutte quelle ore ad allenarmi? A niente!
Cerco di calmarmi, mi alzo, inizio a camminare, mentre la mia testa è piena di pensieri, ricordi bello e brutti; quella volta da piccolina, avevo 7 anni ero a una gara regionale ad Imperia e sono arrivata seconda. E' stata la mia più grande soddisfazione di sempre; vedere tutte quelle ragazze dietro di me e io sul podio: ero strafelice. La sera siamo andate a festeggiare un un ristorante e tutti mi facevano i complimenti.
E adesso? Dove sono tutte quelle soddisfazioni?
Oggi è stato il contrario, io "dietro" alle altre.
È brutto vedere le altre soddisfatte mentre tu sei lì che pensi solo a sparire dalla faccia della terra; che vergogna!
Scaccio via tutti quei pensieri, mi siedo e scoppio di nuovo a piangere, dentro di me sento tristezza, quella tristezza che ti fa domandare a cosa servi, cosa ci stai a fare che tanto non interessi più a nessuno, e poi solitudine, malinconia per tutti quei ricordi... È vero quando si dice che è tutto più semplice da bambini, perché non hai nessun pensiero, non ti preoccupi di nulla, ma soprattutto non si ha paura di niente, ci si butta in nuove avventure senza nessun problema.
Mi sento uno schifo, ho tutto il trucco sbavato, i capelli spettinati, per non parlare del body, il body che ho sempre sognato: blu, rosso e bianco che luccica; adesso si ritrova tutto stropicciato, buttato in un angolo. Trovandomi in un posto mai visto indosso solo una canotta nera, penso di essermi persa, ma tanto a chi interessa? Se sparissi nessuno se ne accorgerebbe.
Prendo il telefono in mano, ci sono 7 chiamate da mia madre, chissà a cosa sta pensando adesso, sarà preoccupata? Penso proprio di sì.
Decido di ritornare dagli altri. Quando arrivo ci sono le mie compagne di squadra che mi corrono incontro, abbracciandomi fortissimo.
Meno male che ci sono loro a tirarmi su il morale, senza di loro sarei finita.
Appena mi stringono riesco finalmente è rilassarmi.
Sta arrivando anche la mamma che appena mi vede mi prende le mano, si avvicina a me e mi sussura che sarò sempre la migliore.                                             Giorgia

Sono vuoto

Sentii il freddo vento che sfiorava la mia pelle. Lì, in mezzo a quel bosco, fui ricoperto da un immenso verde. 
I miei occhi parlavano, rappresentavano la tristezza in persona e i brividi ricoprivano il mio corpo, ma non era colpa del freddo, il cappotto che indossavo mi copriva tutto il collo.
Come non dimenticarlo, ricordo che ero girato di schiena e la mia testa era dritta verso di lei, la guardavo e già sapevo che sarebbe stata l’ultima volta che l’avrei vista. Inutile supplicare, ormai ero pieno di rimpianti. 
La delusione faceva parte di me, purtroppo, il futuro mi spaventa e io ero senza speranze. 
Le emozioni di quel giorno, mai le avevo provate e mai le proverò di nuovo, ma mi facevano uno strano effetto, provavo un gran senso di disperazione.
Non sempre c'è un lieto fine e così andò a me.
Provai il  vuoto nel mio cuore e nell’istante in cui lei se ne andò si fermò tutto per me:  non c’era più vento, gli alberi non si muovevano più, ero circondato dal nulla totale, solo, senza più un motivo per andare avanti. 
Restai due minuti a guardarla finchè non la vidi scomparire sotto ai miei occhi, il sentiero ricoperto da arbusti oscurava la sua ombra e lei  stessa, rimase solo il suo profumo di fronte a me… 
Ogni tanto mi capita di immaginarmi  di sentire il suo profumo e senza pensarci mi giro a cercarla, ma lei no, lei non c’è.                                                                                              Nicole

Caro amico ti scrivo.

                                                                                                                                                Savona, 19 febbraio  2016

Ehi, 
Non ti sei più fatto sentire... Così ho deciso di mettere da parte il mio orgoglio. Sai mi manca sentirti: da quel giorno che te ne sei andato non c'è stata una volta in cui io non ti abbia pensato.

Sei un pensiero fisso nella mia testa, ogni cosa mi ricorda te;  ora che non ci sei più non è lo stesso. La mia vita è cambiata, le mie abitudini sono cambiate, il mio volto è cambiato, io sono cambiata. E sai perché te lo dico? Perché voglio farti sapere che da quando mi hai lasciata sola non sono più la stessa, ho smesso di fidarmi delle persone, di aspettare qualcosa che non arriva e ho iniziato a pensare di più a me stessa.

Ho sempre dato forza agli altri quando la prima ad averne bisogno ero io, così un giorno ho capito che era il momento di voltare pagina, di ricominciare tutto da capo, di ricominciare da me.  Così ho fatto e non mi pento di essermi scelta. Tutto quello che ho passato mi ha reso la persona che sono ora; ogni tanto crollo ripensando al passato e se dovessi tornare indietro, rifarei cento mila volte gli stessi errori, perché dagli sbagli s'impara, si cresce.

Ti ringrazio per avermi fatto scoprire l'amore e poi il dolore, però ringrazio di più me stessa per aver trovato la forza di rialzarmi e andare avanti, sempre. Sono convita che ogni tanto tu ci pensi a me, a noi, ai nostri momenti belli e brutti e ti chiedo scusa per tutte le litigate, per i miei silenzi, i miei sbalzi d'umore, il mio orgoglio, per la mia costante paura di perderti e per non essere riuscita a tenerti e a riprenderti. Scusami anche per questa lettera e per queste parole, di cui non ti importerà nulla. 
Ah e non mi piacciono gli addì, quindi a presto...                                                           Marika


Dal Montenegro a Savona:  la lettera di Jacov 

Da sei mesi in Italia, per inseguire il suo sogno, Jacov già scrive così.

                                                                                        Vado Ligure 19.2.2016

Ciao mamma,

come stai?

So che sei preoccupata per me, però sto bene, mi trovo benissimo nella nuova squadra, vado bene a scuola, mi alleno ancora meglio; l'unica cosa è che tu non sei qui, mi manchi tanto...

So anche che ero un bambino disastro, litigavamo sempre, spesso piangevi. Sto provando a migliorare, penso che sia contenta di me, tutto ciò che volevi da sempre è che io finisco la scuola e divento qualcosa nella vita.

Sono cambiato, faccio tutto quello che posso ad avere un futuro.

Quando papà non era con noi perché lavorava in Russia, tu facevi tutto per me e i miei fratelli.

Io ero unico che  si comportava male, mi dispiace...

Penso che non è mai tardi per cambiare, eri l'unica persona che credeva in me, che diventerò un giocatore di pallacanestro e alla fine un uomo.

Ho tante cose da dirti ma quella più importante è che il tuo bambino di 2 metri sta diventando uomo.

Ti posso dire che sei la migliore mamma del mondo.

Spero che questi quattro mesi passano veloci, perché ti voglio abbracciare e dire scusa per tutto.

Voglio che vedi che il tuo bambino è cambiato.

P.S. sei veramente la mamma migliore del mondo e ti voglio un sacco di bene.

Il tuo bambino

Jacov :)


Persone

Fino ad ora le persone che reputo importanti nella mia vita sono quelle che nonostante tutto sono rimaste accanto a me. Siccome ho un carattere abbastanza complicato molte persone se ne sono andate, e evidentemente non ci tenevano veramente e non erano così importanti come pensavo.

Ogni volta che qualcuno esce dalla mia vita penso sempre a questa citazione: “Chi c’e c’è, chi non c’è non serve.” Perché se uno ci riflette è proprio così. Credo nel destino e penso che tutte le persone che incontriamo siano destinate ad incrociare il nostro cammino. Ci sono persone che ti cambiano la vita, che ti stravolgono tutto da un giorno all’altro, persone che te la rovinano e che ti fanno soffrire ma dipende tutto da noi e bisogna capire per chi vale veramente la pena soffrire. Ho imparato a non fidarmi di nessuno perché alla fine ti deludono sempre tutti e per non rimanere delusi basta non aspettarsi niente da nessuno, non racconto quasi mai a nessuno i miei “problemi” non mi piace sfogarmi con le persone perché a nessuno importa realmente sapere come sto, quindi preferisco tenermi tutto dentro risolvendo i miei problemi da sola. Quando sono triste mi rinchiudo nel mio “guscio” e non faccio entrare nessuno, è come se tra me e le persone ci fosse un muro e adoro sfidarle per vedere chi prova ad abbatterlo e chi invece lascia perdere e molla tutto. Le uniche persone che non mi hanno mai deluso e che non mi abbandoneranno sono i miei genitori. Mi sento fortunatissima ad averli e anche se sono separati fanno tantissimi sacrifici per non farmi mancare nulla. La mia mamma più che una mamma è la mia migliore amica, le racconto tutto e abbiamo un bellissimo rapporto. Poi c’è Pibo, che anche se non parla mi dimostra tutto guardandomi con i suoi occhi e non c'è cosa più bella del suo sguardo che mi fa capire tutto senza aver bisogno delle parole. Un’altra persona importante per me è Alessio, il mio ragazzo. È arrivato in un punto della mia vita dove non era tutto rose e fiori e nonostante tutto è sempre rimasto accanto a me e non lo ringrazierò mai abbastanza per tutto quello che ha fatto, in  poco tempo è diventato importantissimo e  anche se non sarà per sempre perché adesso siamo ancora dei ragazzini lo ricorderò sempre come la cosa più bella che mi sia capitata, come se in quel momento la vita avesse deciso di farmi un regalo. Anche se litighiamo a causa del nostro carattere forte, a causa del nostro orgoglio, della nostra gelosia  io non lo lascerei per nulla al mondo.                                                    Marika


Quattro luoghi

I colori, le luci, i suoni, il disordine ma anche la storia e la quiete: ecco cosa amo di una città.

Esatto, il mio luogo preferito è una città: Melbourne.

Questo posto secondo me è speciale, il suo paesaggio, i suoi panorami, i suoi colori, i suoi angoli tutti da scoprire e gli abitanti la rendono una vera e propria forza della natura. Ah, un particolare, Melbourne si trova in Australia a circa 15.000 Km di distanza (non proprio vicino ).

Bisogna chiedersi perché è il mio preferito, e il più importante. Non c’è un vero e proprio motivo, ma questo posto mi attira.

Il secondo luogo più importante è una “casetta gialla”, (così l’abbiamo soprannominata io e una mia amica). E’  a 100 metri da casa mia, e vado lì ogni volta che sono nervosa o triste (non ci vado mai da sola, altrimenti mi demoralizzo ancora di più). Questo luogo in passato era un dazio, mentre ora è una scuola di ballo: c’è tanta storia dietro un luogo, anche se non ce ne rendiamo conto.

Il terzo posto è un parco, a Milano, sotto casa di mia nonna. Mio nonno mi ci portava sempre, quando ero piccolina, con mio cugino; è lì che ho imparato ad andare in bici, ovviamente dopo mille cadute, ma ce l’ho fatta.

Sempre a Milano, stavolta però a casa di mia nonna, c’è la cameretta. In particolare il letto della cameretta. Ogni volta, a Natale, tra una portata e l’altra, io e mio cugino Giuseppe ci rintanavamo nell’armadio e facevamo finta di essere in campeggio, in una tenda. Mia nonna apriva anche il secondo lettino e Giuseppe ed io ci saltavamo sopra, ad ogni salto, inventavamo una strofa per uno, componendo così una canzone.

Bei ricordi, quelli.                                                                                                          Cristina


Il mio luogo

Allora, inizio parlando di Piazzale Moroni il quartiere dove abito e dove sono cresciuto.

Piazzale Moroni è un quartiere un po’ malfamato però adesso non è più così da qualche

anno ci abitano bambini e ragazzi e tutto fila liscio.

Sono molto affezionato a Piazzale Moroni perché è il MIO quartiere, ho fatto le elementari lì.

E mia mamma si era presa un bar, proprio al centro del quartiere.

Poi li conosco tutti e ci abitano anche molti dei miei amici e quindi quando usciamo ci ritroviamo dal campetto e poi andiamo alla “piazza”, che è un posticino che assomiglia appunto ad una piccola piazza e ci sono delle panchine dove noi ci “appostiamo” e ci stiamo un bel po’; lì ascoltiamo musica, parliamo e a volte giochiamo a calcio però al campetto perché, anche se c’è la recinzione intorno, noi entriamo da un buco fatto da altri, apposta, per giocare.

Piazzale Moroni per molti è un quartieraccio dove ci si droga o si fanno casini, ma non è cosi, almeno non più. Su internet cercando informazioni proprio su Piazzale ho trovato una curiosità, che è chiamato “il Bronx di Savona” il che, secondo me, è esageratissimo!

Sempre sul web ho trovato che a piazzale Moroni ci ha abitato un ladro chiamato Arsenio Lupin che è riuscito a rubare i gioielli della corona inglese;  poi quando è stato scoperto

È venuto il principe in persona a riprenderseli.

Fantastico, Piazzale Moroni.                                                                                           Manuel                  


Il mio migliore amico

Inizio con dire che per la amicizia è particolare.
Secondo me l'amicizia dovrebbe essere un rapporto senza nessun impegno, un rapporto naturale fra due persone che hanno delle affinità o delle preferenze in comune.
L'amicizia secondo me non è vedersi tutti i giorni e non avere niente da raccontare.
Io sono  quel tipo di persona che si stufa di vedere un amico tutti i giorni e non avere niente da raccontare. 
A volte dicono pure che sono noiosa perché mi rifiuto di uscire, ma non è così.
Amo stare da sola in casa con i miei mille pensieri, la musica al massimo del volume. 
Per me uscire e incontrare amici che non vedevo da giorni e iniziare la conversazione con  un "ciao!" Per poi finire per chiedere l'ora e scoprire che abbiamo passato ore e ore a parlare senza mai fermarci, beh, per me questo è speciale.
Eh sì, ho un carattere difficile.
Non è facile trovare una persona che mi comprenda e che mi accetti con i miei difetti e pregi. 
Però, nonostante questo io ho trovato il mio amico ideale.
Lui è Simone, è bruno con gli occhi marroni, fisicamente robusto.
Cosa vi aspettavate? 
Un ragazzo biondo, occhi azzurri e con il fisico scolpito, come quelli dei film?
No,lui è esattamente il contrario, ma vi assicuro che lui sa come trattare una ragazza e, soprattutto, come farla sorridere che è la cosa più importante.
E pensate che la prima volta che l'ho visto mi sembrava il tipico bulletto della scuola.
Poi con il passare del tempo siamo diventati amici eppure siamo molto diversi caratterialmente.
Lui è quel tipo di ragazzo che ama uscire spesso, divertirsi senza pensare mai al domani, si mette sempre nei guai e poi ci sono  io la tipica ragazza che esce poco e che gli dice sempre di non mettersi nei guai e cercare di studiare, almeno di comportarsi bene a scuola; nonostante io non sia brava a scuola, cerco sempre di fare del mio meglio, lui invece no, se ne frega di tutto e di tutti.
Quando esco con lui mi diverto tantissimo è come se i problemi non esistessero più, perché è proprio così che lui vive la vita. Io cambio umore facilmente e spesso quando usciamo da una lunga risata arrivano i pensieri e poi le lacrime e lui essendo più forte di me mi abbraccia e mi dice sempre: "stai tranquilla che tutto passa."
Questo mi piace di lui, la sua semplicità e il suo sorriso che non manca mai, vederlo triste è impossibile,l ui ha il coraggio che io non ho.
Lui per me è davvero importante.
E pensate che pur essendo completamente diversi ci capiamo a vicenda e andiamo d'accordo. 
Non abbiamo mai litigato in 4 anni,a volte  penso che se non abbiamo ancora litigato è solo grazie a me,alla mia tranquillità e comprensione.
Avrei tante cose da dirvi su di lui, potrei scrivere paginate, libri,poemi ma a volte una frase basta per dire tutto.
 "Un amico è quello che sa tutto di te e nonostante questo gli piaci"
                                                                                                                             Karoline



La grande Torino

Le giornate cupe e grigie non le digerisco. Non mi piace svegliarmi al mattino, spostare la tenda di camera mia e non vedere il cielo azzurro.

Il poco riposo mi rende nervoso, ma devo fare questo sforzo: tirarmi giù da letto ed andare al lavoro.

Datemi una sciarpa, ho paura che mi stia per ammalare, sta arrivando il freddo dell'inverno.Il cappotto è lì ad aspettarmi pronto ad essere indossato.

Un domani, forse, il diploma mi servirà, sparo che riuscirò a arrivare a questo traguardo e a tagliare il nastro rosso con le forbici di una sarta.

Ho frequentato l'istituto Engim, una scuola di Torino dove insegnavano meccanica.

Adoro fare questo mestiere, mi piace l'ambiente in cui sto, circondato dai rumori delle macchine a giri elevati, soprattutto quando il mio olfatto sente l'odore dell'olio refrigerante.

Mi emoziono, mi viene la pelle d'oca, mi ricordo la mia vecchia classe e il mio tornio, tutto pulito.

In un futuro vorrei fare un trasloco e portare tutto a Torino, una città che mi ha sempre colpito, perfetta per il sabato sera.

La città che mi ha infilzato il cuore con la mole della Mole Antonelliana.

Sono stato marchiato da Torino, per tutta la mia vita ricorderò i momenti speciali che vi ho passato.

Quando guardavo la luna a Torino era diversa, mi piaceva di più: c'era una bella atmosfera, eravamo una quindicina di amici. Ci davamo una mano a vicenda, disposti a dare tutto quello che avevamo.

L'amicizia ha una grandissima importanza.

Via Po è la via che mi è rimasta più impressa, una via piena di libri di qualsiasi genere, con dei bellissimi portici.

Da non scordare il Valentino: il Po che costeggia le rive e quelle magnifiche panchine dove passavo anche delle giornate  a ridere e scherzare con una vista magnifica del castello e di Superga, dove una volta un aereo con dentro i giocatori del Torino si è schiantato a causa della nebbia.

Per finire piazza Castello dove potevo trovare gli artisti di strada: giocolieri, musicisti, persone vestite nei modi più diversi.

La grande Torino.                                                                                  Gianluca

 


Una delle tante nottate

Ho trascorso la notte a  pensare a come è difficile la vita. 
A volte prima di andare a dormire mi metto il mio pigiama comodo, comodo, mi siedo sulla sedia che metto davanti allo specchio e inizio a guardarmi e comincio a pensare a come mai sono così diversa da tutte le altre ragazze: sono di pelle scura con i capelli ricci, il seno piccolo, fondoschiena grande, la testa  più grande del corpo, un po' uguale a una Bratz! E le altre? Avete presente le Barbie? Ecco loro sono così,i l mio contrario.
Vorrei essere uguale a loro, ma poi mi chiedo se pure loro guardandosi allo specchio pensano a quello che penso io. 
Mia mamma mi ripete sempre che ognuno è bello a modo suo, ma io non la penso allo stesso modo; io dico che ogni persona la bellezza se la crea da sola . Dico  coìi perché ogni mattina miglia di ragazze, per piacere agli altri, si truccano in maniera esagerata;  anche se dentro stanno male e  vorrebbero piacere per quello che sono realmente, escono di casa con il sorrisone . 
Gli adulti dovrebbero essere i primi a chiedere come stiano ai propri figli, ma loro sono troppo impegnati  con il lavoro, oppure  ci sono già passati, ma sembra che si siano dimenticati di quanto è dura l'adolescenza in cui si soffre per i primi amori, per ciò che vorremmo essere o su cosa vorremmo.
Lo specchio può mettere una ragazza contro se stessa, almeno  è quello che penso io, una ragazza che si guarda  allo specchio non trova mai un pregio in lei, ma uno o più difetti e questo porta alla depressione; la domanda che vorrei fare ai fabbricatori di specchi è quella di chiedere loro  perché continuino a fabbricarli  se causano tanti problemi.
Dopo essermi  mortificata la vita con i miei classici viaggioni mentali non  riesco quasi mai a prendere sonno quindi prendo i primi stracci che trovo nell'armadio e, con la scusa di portare fuori il cane, esco di casa di casa ed mi faccio un lunga passeggiata .
Dopo la lunga passeggiata lungo il corso, di solito mi dirigo verso quella strada che porta in un bosco fitto.
Ci metto un quarto d'ora per arrivare: mentre mi dirigo  verso il bosco, la prima cosa che faccio e mettermi le cuffie nell' orecchio, accendere la musica, alzare il volume .
Inizio a camminare lentamente fino a quando arrivo in quel punto del bosco nel quale anni fa c'era un piccolo parco in cui  andavano non molte persone; ora è diventata un posto abbandonato.
Io non ho smesso mai di frequentarlo perché  mi ha sempre trasmesso una sensazione di tranquillità.
Ho sempre amato stare da sola con le cuffie nelle orecchie ed essere trascinata da mille pensieri che, alla fine, non sono altro che desideri o storie inventate dalla nostra coscienza  per farci sentire meglio con noi stessi.
E la musica è complice e colei che con le sue parole ci fa sognare senza essere addormentati, ti può far ridere come piangere, o, nei casi più rari, tutte e due, di solito capita quando si ha qualcosa che ci fa star bene, ma allo stesso tempo ci uccide.
A volte la musica ti fa sorridere come nessuno è  riuscito mai,  ti fa piangere come un bambino. 
Quel luogo, la maggior parte delle volte, mi fa sentire coccolata; può sembrare strano, ma appena arrivo  siamo solo io e lui, io parlo  e lui ascolta e non c'è cosa migliore di essere ascoltata senza essere interrotta:  sfogarsi dicendo ciò che vuoi senza essere giudicati ;
Lo so che parlare con gli alberi mentre il mio cane  mi guarda  non è una cosa da persone normali, ma a volte la cosa  migliore è confidarsi con se stessi  perché alla fine è la persona stessa a risolvere i propri problemi .
Qualche ora dopo inizio ad andare verso casa ascoltando i brani di musica che mi rimangono nelle playlist .
Appena arrivata, mi tolgo  le carpe, preparo un tè alla limone, metto il mio pigiama e vado a dormire sperando che il giorno dopo sia migliore di quello passato. 
Yamilet


La vita


Trascorsi la notte nella paura. Paura di perdere una parte della mia infanzia. Furono mesi strazianti per me, per la mia famiglia, e per lei.

Tutto ebbe inizio in un pomeriggio invernale, in quei pomeriggi in cui il sole scappa e il freddo fa il suo ruolo, non so dire l'ora precisa e nemmeno il giorno esatto, perché ora i ricordi sono sbiaditi, e ne sono contenta, cerco di dimenticare, ma nessuno sa dirmi se è la cosa giusta o sbagliata. 

Squillò il telefono di mio papà. 

Era mio zio Uberto, ci comunicò tutto preoccupato che la loro mamma  non rispondeva al telefono in casa e che lui essendo al lavoro non poteva andare a controllare; fu compito di mio padre quindi andare a trovare la mia cara nonnina. Penso che ciò che mio padre si trovò davanti fosse l'ultima cosa che un figlio vuole vedere. 

Chiamò immediatamente l'ambulanza.

Mia nonna Anna, una Donna con la D maiuscola vedova di 82 anni con tre figli e una sorella con l'alzhaimer, fu trovata stesa per terra in preda a un ictus e non fu la prima volta per lei, purtroppo. 

Al che mio padre, con molta diligenza chiamò l'ambulanza e 3 minuti dopo arrivò; ciò che successe in seguito  non me l'hanno voluto raccontare e non penso lo faranno mai.

Mia nonna passò qualche mese in ospedale, in quei giorni io non volevo andarla a trovare, il motivo? Avevo timore, una persona che è sempre sorridente, piena di energie e forze non riesco proprio a vederla in un lettino bianco, rinchiusa da mura bianche e persone vestite di bianco! Timore di piangere davanti ad altre persone e di conseguenza essere giudicata, d'altronde gli infermieri dissero che non c'era nessun pericolo. Successivamente, la spostarono alla clinica Riviera delle Fornaci, dove, con qualche problema, passò qualche settimana. 

Io stavo male, molto, non c'era giornata che non piangevo per lei e anche tutte le persone intorno a me lo notavano, tranne i familiari, non mi facevo vedere distrutta davanti a loro. 

Un giorno mi feci coraggio, e sì... Andai a trovarla. 

Accompagnata da mio padre mi diressi verso la clinica, e lungo il tragitto pensai a quanto doveva essere dura per lei: sopportare tutte quelle medicine, punture e soprattutto non riuscire a deglutire, penso sia la parte più brutta di quella maledetta malattia. Entrammo dentro a un edificio orribile dove tutto per me era nero, triste e cupo. Guardai per un istante mio padre, mi disse che non c'era da preoccuparsi e io  ero anche fiduciosa. 

Non vedevo l'ora di vederla ed ecco che finalmente la sua stanza era di fronte a me, esitai un po' ad entrare. 

Ciò che vidi ancora oggi si riflette nei miei occhi. Mia nonna non era più la nonna di sempre. Non parlava, se parlava balbettava a malapena, sentiva poco e niente e la sua pelle chiara e screpolata era più pallida di sempre, non la riconoscevo più. 

Quando mi avvicinai a lei, mi prese la mano, e iniziò a farmi domande che io purtroppo non riuscii a capire e mio padre mi fece da "traduttore"; mi chiese se mi sentivo bene, com'era il mio rendimento scolastico e se la mamma stava bene, ovviamente io risposi, ma con un nodo in gola, non seppi dire altro e spostai lo sguardo verso la finestra. 

La vista sì che era diversa da tutta la bruttezza intorno: il mare, la spiaggia, il cielo, danno un senso di speranza, come dal buio alla luce, e magari così poteva andare, doveva andare, mia nonna DOVEVA ritornare a casa.  L'orario di visita si era concluso e per la prima volta capii ciò che mi disse -Ciao amore-. Dopo quella frase, quel saluto e un bacio sulla guancia, malgrado i fili uscenti dal suo naso, mi recai verso l'uscita con  uno sforzo per non piangere. Giorni dopo ebbi notizie di mia nonna, notizie poco belle; ascoltai la conversazione tra mio padre e mia mamma, dove lui raccontò ciò che le aveva detto la nonna il giorno stesso -Tornerò a casa per voi.- e a me, questa frase, ancora oggi  fa venire i brividi. 

Venne quel giorno, 24 febbraio 2015. Appena uscita da scuola, tutta contenta per il suono della campanella, presi il cellulare e lessi un messaggio di mia madre -La nonna è mancata-. Mi si sono mancate le gambe, mi fermai di scatto, gli occhi erano fissi sullo schermo e la mia compagna di classe, a fianco a me, si preoccupò, mi disse cosa succedeva, e io con un semplice bisbiglio le raccontai che mia nonna non c'era più. 

Ci misi mesi e mesi per credere al fatto che mia nonna fosse mancata, ogni domenica pensavo -Andiamo dalla nonna?- e poi qualche secondo dopo pensavo che non potevamo vederla, purtroppo. È solo quando capii che non potevo più abbracciarla forte forte, che non potevo più sentire il profumino proveniente dalla cucina ad ogni pranzo domenicale, che non potevo più parlarle e raccontarle delle mie giornate, che mi resi conto di non poterla più vedere. 

Mi manca, ed è una mancaza che nessuno può riempire. 

Nicol



Notte

Ho trascorso la notte insonne. Avevo troppi pensieri per la testa che non mi facevano dormire. Fissavo la finestra; chissà cosa stava succedendo lì fuori o chissà cosa stava succedendo dentro di me. Credo che la notte sia il momento dove tutti i pensieri ci tornano in mente perché durante il giorno siamo troppo presi a fare altro. Quella notte è come se dentro di me ci fosse stata una tempesta. Mentre le ore passavano i miei pensieri diminuivano; stava sorgendo il sole. Mi svegliai e come al solito andai davanti allo specchio e feci un sorriso come se non fosse successo nulla. Pensai "Buongiorno, è un altro giorno e tu sei più forte di ieri, sorridi anche oggi: un giorno senza sorriso è un giorno perso." Ecco che la solita routine iniziava; mi vestivo; andavo giù in cucina; facevo colazione; mi lavavo; uscivo e mi incamminavo verso la fermata della corriera. Passate le otto ore di scuola,    tornavo a casa, mangiavo e, come tutti i giorni, dopo pranzo, appuntamento in centro con i miei amici. Quando sei in compagnia delle persone che ti fanno stare bene, che ti fanno ridere e sorridere i problemi in quel momento non esistono. La notte arrivò di nuovo... E pensai: "Ora che mi sta crollando il mondo addosso tu dove sei? Cosa fai? Mi pensi qualche volta? Ti manco?" Io una risposta a tutte quelle domande ce l'avevo, il punto è che volevo avere le tue risposte. Un'altra notte a pensare: "Gli scrivo o no?" Forse non lo facevo a causa del mio orgoglio o forse per la paura, così passai un'altra notte senza scriverti chiedendomi cosa fosse successo se lo avessi fatto. Magari ti mancavo, magari mi stavi pensando... "Come hai fatto a dimenticarmi dopo tutte le cose che abbiamo passato?" Tutte domande senza risposte. E sai che c'è? Che forse è stata tutta colpa mia, mi allontano sempre per prima quando vedo che qualcuno non ha più voglia di restare e con te ho fatto proprio così, non avrei mai voluto, volevo averti per sempre, ma non è così, tutte le storie d'amore prima o poi finiscono, nulla è eterno, purtroppo. Le uniche cose che restano sono i ricordi, le fotografie, i messaggi, le conversazioni alle tre di notte con le lacrime agli occhi, che ci hanno fatto venire i brividi, l'ansia del primo appuntamento, le farfalle nello stomaco, il sapore di quei baci, e il profumo dei nostri abbracci. Insomma il primo amore o te lo porti dentro tutta la vita o te lo sposi.                                                                                                     Marika


La scuola che vorrei

Io vorrei una scuola dove non mancassero le opportunità di lavoro. Vorrei un scuola dove il rapporto tra alunno e insegnante fosse più aperto e le lezioni fossero interessanti e coinvolgenti. vorrei una scuola con un campetto da calcio tutto nostro e mi piacerebbe avere altri campi da gioco; vorrei che facessimo più gite fuori dalla città. vorrei che il laboratorio avesse più macchine di lavoro e che tutti

andassimo bene in tutte le materie.Vorrei che il riscaldamento funzionasse quasi tutto il giorno. Vorrei una scuola dove gli alunni  non facessero cose vietate, dove i banchi non fossero bucati, bruciati o graffiati. Vorrei che le aule non avessero nessuna macchia sul muro e che fossero colorate  con colori molto vivaci. Vorrei che il bullismo non esistesse e che nessuno si sentisse triste, umiliato o messo da parte. Vorrei che tutti andassimo d'accordo come una grande famiglia.

                                                                                                                                  Roeld


La scuola che vorrei

Vorrei una scuola formata da quelle persone che vorresti vedere sempre, coloro che non ti giudicano e basta, commentano ogni azione che fai o il tuo modo di vestirsi. O forse invece sì: se devo essere sincero vorrei invece vedere la verità negli occhi delle persone che frequento a scuola.

Mi piacerebbe anche che queste persone ridessero e scherzassero con me, mi piacerebbe finire una lezione senza né prendere note né disturbare.

Mi piacerebbe andare scuola alle dieci ed uscire alle dodici, fare solo due ore  ma che fruttassero qualcosa, imparare molte cose in poco tempo senza distrazioni. Potrei rinunciare anche all'intervallo: avremmo tutto il pomeriggio per scambiarci delle chiacchiere. Per ciò che concerne i professori vorrei che fossero tutti come il nostro prof. di tecnologia meccanica, severo quando deve e simpatico nei momenti giusti.

Non ho tanto da scrivere perché la scuola che vorrei è abbastanza uguale a quella che ho.

                                                                                                                         Alessio


La mia ancora

Alla fine lei era l'unica cosa capace di rendermi felice in quel momento.

La ragazza più complicata che io avessi mai conosciuto, un minuto prima sognava ad occhi aperti e subito dopo riusciva a distruggersi con le sue stesse mani.

 

Il 20 dicembre stavo entrando nella mia nuova “casa”. Pochi mesi prima ero stata trasferita nella mia prima comunità: il mio morale era davvero a terra, tutte le persone che avevo conosciuto lì non mi erano piaciute e il primo periodo, lo ammetto, fu davvero difficile, ma appena scoprii del nuovo trasferimento ne fui subito entusiasta. La prima che conobbi fu Nadine, una ragazza con molti piercing che amava Bob Marley; poco dopo arrivò Beatrice, lei aveva dei lunghi capelli neri e dei grandi occhi color ghiaccio, ero felicissima di aver trovato un volto familiare come quello, l'avevo conosciuta in un periodo che frequentavo varie feste. Successivamente arrivarono Federico, Gianluca, Francesca, Lidia, Ramona e Francesca, ma non diedi molta importanza a nessuno di loro e il resto della giornata lo passai chiusa nella mia nuova stanza.  Alle quattro mi resi conto che avevo già finito il mio prezioso pacchetto di sigarette.

 

Verso le sei mi svegliarono le urla di una voce a me sconosciuta, entrò in camera, senza sapere che mi avrebbe trovata lì. Sbigottì e un falso ghigno le apparve sulla faccia:

-Piacere Marta!-

-Io sono Giulia-

Lei si sedette sul letto difronte a me e iniziò a fissarmi in silenzio. Aveva gli occhi rossi, la faccia scavata ed era piena di crosticine che le ricoprivano gran parte della pelle visibile. Ero affascinata ed incuriosita da quella ragazza e così decisi di rompere quell'imbarazzante silenzio:

-Com'è qui?-

Le sue labbra si mossero lentamente e rispose con delle semplici parole che ancora oggi mi risuonano nella mente:

-Uno schifo, tra molto poco ti accorgerai quanto è complicato svegliarsi facendo finta di stare bene e sorridere alle persone di merda che vivono con te. Stai attenta Giulia: nessuno è tuo amico e tutti proveranno ad affondarti-.

 

Marta ne aveva affrontate tante, ne ero sicura, ero incuriosita da lei, dal modo in cui aspirava le sue amate Wiston Blue e dalla sua storia.

 

Imparai che quella ragazza respingeva ogni tipo di gesto di affetto con la forza di chi è tanto fragile da sciogliersi da un momento all'altro.

 

Passavano i mesi le cose andavano malissimo non potevo vedere nessun membro della mia famiglia e di uscire non se ne parlava proprio, in più la mia misteriosa compagna di stanza era sempre più consumata da se stessa e ogni momento più impenetrabile. Fino al giorno in cui partì per un'operazione che consisteva nel togliersi i chiodi che aveva nella gamba; dopo mesi e mesi che vivevamo la quotidianità insieme la portarono via da me per quattro lunghissimi giorni; lei, cercando invano di non  farsi scoprire, mi mandava vaghi messaggi chiedendomi come andavano le cose in casa. Marta non aveva mai cercato nessuno e stava iniziando a farlo con me, era un sogno ad occhi aperti.

Quando tornò le appesi un lenzuolo dove c'era scritto “BRADIPO MI SEI MANCATA!”, in quanto le facevo sempre notare che il suo stare a dormire tutto il giorno rispondeva più ad un comportamento da bradipo piuttosto che da essere umano, questo gesto diede inizio al meraviglioso rapporto che si creò in seguito. Per il mese successivo lei non poteva muoversi dato che era reduce da un'operazione e così iniziai a prendermi cura di lei; la nostra amicizia cresceva ogni giorno e piano piano iniziammo a conoscerci fino ad arrivare al punto di vivere in simbiosi. Lei era la mia ancora di salvezza, il sapere di poter contare incondizionatamente su qualcuno è una gioia immensa.

 

Le promisi che la nostra amicizia non avrebbe avuto limiti e invece dovetti darglielo quando dopo sei mesi che eravamo entrambe tornate a casa lei decise di intraprendere una strada che io non voglio conoscere. Mi sento in colpa ogni giorno, lei mi aveva salvata ed io, invece, non l'ho fatto, la cercai molte volte dandole il mio appoggio e cercando di aiutarla anche economicamente, ma quella ragazza è talmente testarda ed insicura di sé che non vuole essere salvata nemmeno da lei stessa.                                                Giulia


Lo scatto perfetto

Nel mondo esistono migliaia di luoghi tutti completamente diversi l’uno dall’altro, mari, montagne, laghi, ghiacciai, deserti e molti altri.

Ognuno di noi ha il suo luogo preferito, un luogo dove passerebbe il resto della sua vita, ma ne esistono alcuni dove una persona non vorrebbe mai mettere piede.

Sono circa otto anni che giro il mondo per trovare il posto ideale e oggi, mentre sto scrivendo questo nuovo capitolo del mio libro, credo proprio di averlo trovato.

Tanti mi dicono che sono solitario nei miei viaggi, ma non è così: a farmi compagnia c’è la mia amata macchina fotografica, quella che trasformerà questo luogo in un’immagine unica, un momento che non si ripeterà mai più.

Essere fotografo è tutto questo: viaggiare, scoprire nuove prospettive, attendere la luce giusta, il cielo perfetto e infine diventare una cosa unica con la propria macchina fotografica.

Oggi 24 Luglio 1978 sono qui in Arizona, dove avevo letto esistono degli autentici “deserti” fatti di mais e basse colline ondulate.

Dopo aver viaggiato diverse ore con una Cadillac decappottabile del ’58 ho trovato quello che stavo cercando: il giallo del mais, il blu del cielo, e due nuvole bianche che piano piano si stavano allineando.

Prendo il treppiede, la mia fidata Hasselblad, un obbiettivo 105mm, l’esposimetro e pellicola Kodachrome.

Ci siamo, il momento è perfetto ho pochi istanti per scattare la foto, tra poco cambierà tutto ma sulla mia pellicola rimarrà per sempre.                                       Jacopo


Xavier

Xavier con lo sguardo insanguinato rimase fermo, lì, sotto la gelida pioggia.

Le sue lacrime scendevano lentamente sul suo candido viso, in quel momento tutto sembrava andare a rilento, il battito, il respiro, il sangue scuro e denso sulle sue labbra.

 

1 ora prima.

 

Mancava poco, era la sua grande occasione, il momento che attendeva da mesi; finalmente, dopo aver provato per un numero infinito di volte la sua parte, dove non sbagliava mai una battuta, le parole gli uscivano automaticamente dalla bocca.

3..2..1.. Set!

"Siamo in onda" disse il regista.

A Xavier batteva forte il cuore in maniera anomala, sentiva il sudore nei capelli, era agitato. Comprensibile per un ragazzo di 19 anni alle prese con il suo primo spot pubblicitario.

Le luci, la struttura e gli occhi della regia addosso pesavano sul giovane; essendo poi protagonista della scena, tutti si aspettavano da lui una performance impeccabile.

Xavier iniziò a correre su un tapis roulant con aria perplessa e spaventata come da copione, con dietro un telone verde chiamato "Green screen".

A lui sembrava una cosa stupida, quello che faceva, ma già sul monitor del regista comparivano gli elfi di Babbo Natale che tentavano di aggredirlo. 

A un tratto esclamò "Non l'avrete mai!" e subito dopo come se stesse parlando da solo recitò una serie di battute con il fiato in gola.

Dopo aver finito di recitare le battute assegnate per la scena, suonò una campana e la scritta "On air" si spense, ciò significava che non stavano più registrando e che quindi era necessario un cambio di scena e di trucco.

Xavier non amava essere truccato, non gli piaceva la sensazione del trucco sulla sua pelle, gli dava fastidio ma per l'occasione sopportava quella da lui considerata una tortura.

La truccatrice, un'affascinante donna di bell'aspetto, gli mise il sangue finto sul labbro inferiore, lui non ebbe alcuna esitazione al riguardo, era troppo concentrato ad entrare nel personaggio per la scena seguente.

3.2.1.. Set!

Anche questa volta Xavier era abbastanza agitato, ma meno preoccupato per quanto riguarda i dialoghi dato che erano assenti nella sceneggiatura. Il giovane entrò nella parte con sguardo fisso sulla sua mano, in procinto a accogliere la finta neve candida che scendeva giù dal soffitto e a far tremare il suo viso dove scorrevano finte lacrime.                                    Victor


Le foto che ci parlano

Chi c'è in quella foto? In quella fotografia, ormai tutta rovinata e impolverata vicino al comodino, ci sono io. Una bambina comune ma molto speciale. Eravamo negli anni 50 nel posto preferito di mia madre, in Sicilia, precisamente nel porto di Licata con vista nel Mar Mediterraneo, il mio preferito. Da quel mare si sentiva il suono di quei pesciolini che, con la loro coda, facevano fare all'acqua una specie di piccolo vortice che finiva  5 minuti dopo, quando il pesce se ne andava. Si percepiva quell'odore di quando fai bollire la pasta e ci aggiungi il sale, ma se immergevi un dito nell'acqua fredda ti saliva un brivido lungo la schiena che finiva al vertice del collo. Fu un giorno speciale, perché conobbi un nuovo amico, un amico vero  non come quelle persone con cui inizi con una amicizia profonda e finisci con il solo incrocio di uno sguardo sfuggito e un saluto mancato.

Dopo un bagno di divertimento con salvagenti, una palla gonfiabile e persino pistole d'acqua, prese l'estate precedente da un buffo cinese, ci eravamo dirette verso una lunga passeggiata su una spiaggia con una sabbia che scottava i piedi.

La mamma mi disse indicando una piccola bambina con un costume stravagante: "Perché non vai a giocare con quella bimba dalla passerella?" E io risposi con una faccia imbronciata: "Ma mamma, ma perché? Sto tanto bene qui con te a giocare! Lo sai che tutti mi odiano perché sono troppo timida e noiosa" e lei: "Ma no dai non dire così" dandomi una pacca sulla spalla: "Almeno fai una prova, coraggio vai!"

Io c'ero andata, ma la bambina appena mi vide arrivare scappò via e quando mi girai per tornare da mia mamma lei stava parlando con una signora e mi ignorava. Mi sentii tradita, ero molto delusa perché nessuno mi voleva per come ero fatta. Era una vera ingiustizia.

Mi sdraiai su quel legno un po' scheggiato e scricchiolante della passerella, fissando il mare profondo, quando, ad un certo punto, i miei pensieri si interruppero a causa di un fruscio di ali che veniva verso di me. Era un bellissimo gabbiano che mi fissava. Dopo pochi istanti cominciò a parlare: "Ehi bella bambina, che guardi in quel mare?" Rimasi sbalordita, non pensavo che i gabbiani sapessero parlare e poi aggiunse: "Non vorrai mica rubarmi tutto il mio cibo vero?"

Io con un aria perplessa risposi che stavo lì perché ero solo un po' pensierosa e stavo riflettendo sulla mia vita. Il gabbiano si avvicinò un po' più verso di me. Mi disse: "Perché rifletti sulla tua vita? Te lo dico io: è perfetta, non ti manca nulla" e aggiunse: "Anzi sei anche fortunata, guarda me, non posso parlare con gli esseri umani, nessuno mi capisce, a parte te perché sei speciale." Mi era scesa una lacrima e con voce tremolante risposi: "Perché tutti quelli che conosco hanno tanti amici io invece sono l'unica sfortunata, non ho nessuno, nessuna persona che mi faccia sentire viva."

Il gabbiano venne pian piano sempre più vicino a me e mi sussurrò che anche lui aveva lo stesso problema, mi disse di non preoccuparmi che lui sarebbe stato sempre vicino a me anche per scherzare insieme.

Era arrivato il tramonto e lo vidi per la prima volta insieme a Jack, il mio amico gabbiano. Volò via verso il cielo infinito ,ma prima mi diede una piccola collana con una conchiglia, che emetteva un suono percepibile solo a lui, così poteva arrivare in qualsiasi istante.

In fondo in fondo è stata una giornata indimenticabile.

                                                                                                                  Giulia

 

 


Ero un bambino di otto anni, e come tutti i bambini aspettavo con ansia il giorno più bello di tutti: il Natale. Il periodo natalizio era il più magico, i negozi si riempivano di gente, le vetrine erano piene di addobbi, le case luccicavano e la felicità, nei volti dei passanti che correvano avanti e indietro per fare i regali, era splendida. 
Da circa tre anni non passavo un Natale insieme a tutta la mia famiglia, o meglio insieme alla mia mamma e al mio papà.  Si erano separati quando ero più piccolo, e non passare un giorno così bello tutti insieme mi rattristava molto. La mamma dopo la separazione sembrava ringiovanita, aveva conosciuto un altro uomo che la faceva stare bene e sorridere, e questa era la cosa più importante. Papà invece si era  trasferito su in montagna, in un paesino con pochi abitanti lontano da noi. Avrei preferito trasferirmi con lui, ma per la scuola e per altri motivi dovevo restare con la mamma. Papà lo vedevo pochissime volte, durante l'estate e nelle vacanze di Natale. Arrivò finalmente la vigilia e papà mi venne a prendere, salutai la mamma e il suo compagno e corsi verso la sua macchina. Quando lo vidi, lo abbracciai fortissimo, mi era mancato tanto. Il tragitto da casa della mamma fino a casa sua era parecchio lungo, durava circa quattro ore e mezzo, in quel tempo parlavamo di tutto, lui mi raccontava delle sue giornate e io delle mie e tra una chiacchiera e l'altra il tempo volava. Quando finalmente mancavano pochissimi chilometri da casa papà mi disse: "Piccolo mio, ho una sorpresa per te". Insistevo per saperla, ma niente non me la voleva dire, continuavo a pensare a cosa potesse essere ma non mi veniva in mente proprio nulla. 
Durante il viaggio mi incantavo a guardare il paesaggio, intorno a noi c'erano delle montagne altissime, sembrava che con la punta toccassero il cielo. Era un paesino tranquillo senza tanto via vai di gente per le vie e marciapiedi, e tante macchine per la strada. Arrivati a casa, posai le valigie; mangiai qualcosina e corsi nel letto a dormire. Il mattino seguente papà mi svegliò, mi diede il buongiorno e mi disse di guardare fuori dalla finestra, mi alzai velocemente dal letto, corsi verso la finestra, aprii le tende e vidi tutte le montagne innevate, il prato ricoperto di neve e i fiocchi che a mano a mano scendevano e si appoggiavano a tutto. Non avevo mai visto la neve. Era qualcosa di spettacolare che ti lasciava senza parole... 
Corsi velocemente fuori, allungai la mano e vidi che piano piano il mio guanto da blu stava diventando bianco. Ad ogni passo che facevo lasciavo un impronta profonda nella neve, chiamai papà e gli dissi di venire fuori a giocare. Passammo tutto il giorno lì fuori, ci lanciavamo le palle e costruivamo i pupazzi di neve. Mi piaceva già tantissimo la neve e vederla era stato il regalo di Natale più bello di tutti. Ma ancora più bello era vedere la felicità nel mio volto e in quello di papà.                                                                                                                               

                                                                                                                  Marika