Concorso Aned  2018. Classe 1b meccanici

Ci siamo concentrati sulla parola RITORNO pensando a quello che vuol dire per chi rimane.

Abbiamo  ribaltato la prospettiva e pensato di  dare la parola alle cose che rimangono quando le persone non tornano. Abbiamo quindi usato la “prosopopea” proprio come gli antichi.

 

Il percorso si è sviluppato in questo modo:

1.     brain storming su Anne Frank  ( tante idee erano errate)

2.     lettura dell’albo illustrato “L’Albero di Anna”

3.     Visita del sito online della Casa Museo di Anna Frank e dell’alloggio segreto in 3D

4.     Lettura di alcune pagine del diario (versione definitiva)

5.     Scrittura dei brani secondo la metodologia del Writing Workshop.

I lavori dei ragazzi

Manuel

Ehi!

Ti ricordi di me? Sono quella cosa che usavi dopo mangiato…

Quella di colore verde acqua e argento.

Andavo di coppia con lui…il diario.

Sono quella cosa che perdevi, mi lasciavi vicino a lui ed io rotolavo sempre via!

Mi ricordo quando arrivai a casa tua: eri una bambina di soli nove anni ed io ero dentro un astuccio rosso.

Mi tenevi nella tua mano calda, è passato del tempo e quella sensazione mi manca. Sono ancora piena di parole e di inchiostro.

Non sarò mai come le penne di ora, moderne, ma dentro di me batte ancora il mio cuore per te.

FUOCO. Quel giorno mi lasciati andare nel fuoco. Stavi “ lucidando i fagioli”, io finii tra gli scarti e quando li presero per metterli dentro alla stufa , ci finii anche io.

La mia anima ti vide disperata e io non sapevo come tornare indietro. E’ successo anche a te? Adesso siamo tutte e due a volare nel vento. Spero che ci potremo rincontrare in questo azzurro.

Sai…ti osservavo dal tavolino di legno, ti ammiravo mentre scarabocchiavi, il tuo quaderno, con la tua faccia concentrata e la tua smorfia da ragazzina felice.

Quel giorno, il 4 agosto 1944 alle undici di mattina sentii un gran frastuono, delle grida di disperazione, dei pianti. Dopo sentii solo il silenzio, quel silenzio che durò anni.

Anna dove sei finita?

Chi ti ha fatto piangere quel giorno?

 

                                                                                                                           La tua penna

Simon

Sono oramai sempre diviso da te.

Ma ogni giorno e ogni notte aspetto di rivederti.

Sembra che tu sia troppo occupata, Anne, per darmi tue notizie.

Piove e sono tutto bagnato, ma penso a te quando c’è il sole che mi scalda.

Ricordo quando io, grande e alto, ti vedevo attraverso il vetro.

Il tuo sguardo si appoggiava sui miei rami che ora sono rimasti soli.

Quella sera eri più preoccupata del solito: non riuscivi a leggere e a scrivere.

Era triste vederti così, avrei voluto aiutarti, ma me ne stavo diritto a guardarti.

Vedevo le tue gioie, la tua tristezza, la tua paura. Ti vedevo leggere i tuoi libri, scrivere sul tuo diario.

Alla notte ti vedevo dormire come una bambina.

Sembrava che tutto sarebbe finito bene.

Ora invece penso proprio che non sia così.

 

 

                                                                                                                        Il tuo ippocastano

Francesco

Ciao Anna.

Mi manchi tanto.

Mi manca la tua pelle morbida su di me.

Mi manca il tuo diario, pieno di segreti che ogni giorno raccontavi a lui e anche a me. Io sentivo tutto.

Ho sentito anche i litigi con il dentista, per chi doveva occuparmi il pomeriggio dopo le quattro.

Prima che arrivassi tu ero solo una piccola e semplice scrivania, ma ora sono diventata la scrivania che ha ospitato le idee di una delle scrittrici più famose del mondo.

Ogni giorno contavo le gocce di inchiostro che facevi cadere dalla tua stilografica su di me.

Ero sempre lì a vederti crescere in questi due anni e a sentire i tuoi lamenti, a vedere i tuoi sorrisi e i tuoi pianti.

Ho aspettato molto il tuo ritorno e ci ho anche sperato, che tornassi, ma non è andata così.

E’ tornato solo tuo papà Otto e non so se questo sia un bene o un male.

Di te è rimasto solo il tuo diario, leggendolo le persone capiscono la ragazza che eri.

Avevi un carattere difficile, tanto testardo come gentile e allegro.

Nel museo dove mi stanno ospitando ci sono tutti i nostri amici: i quadri, l’orsacchiotto, le tue scarpe rosse che tanto amavi, la foto del 1941 di Ginger Rogers,  e tutte  le altre cose.

Detto ciò, ti volevo ringraziare per quei due anni insieme, anche se tremendi, sono stati i più belli della mia vita.

 

                                                                                                                 Un saluto dalla tua scrivania.

 

Claudio

Ciao Anna, 

Come va? Sono passati tanti anni da quella mattina.Sono rimasto  qua per terra ad aspettare le tue mani calde come il solo alla mattina, calde come il fuoco del caminetto.

Ricordi quante giornate pesavi a raccontarmi ciò che pensavi e ciò che ti turbava? E che bello quando ti inventavi le storie!

Adesso sono solo un pezzo di carta, chiuso in una teca e spero che tra i milioni di visi che vedo da qua possa rincontrare il tuo sguardo.

Che fine hai fatto? Dove hai continuato la tua storia? Tu eri come un cucciolo ribelle. Mi ricordo ancora quando ti guardavo dalla scrivania, per cui litigavi con il dentista per trascorrere del tempo in più a passarmi le tue sensazioni e i tuoi sentimenti. Invece il 4 agosto 1944ti strapparono a ,e e alla tua famiglia, lasciandomi sul pavimento freddo come il cuore dei tedeschi che ti hanno portato via, che ti hanno abbandonata nei campi.

Adesso la nostra storia è conosciuta ovunque in tutto il mondo,come volevi tu, Anna.

Anche se adesso non ci sei, sono rimasto io per far conoscere la nostra storia. spero che tu sia contenta guardandomi da lassù.

Mi manchi tanto.

                                                                                                                      Il tuo diario

Abel

Ciao Anna.

Ti ricordi ? Ti ricordi di avermi tagliato da un giornale?  E di avermi attaccato sul muro sopra la tua scrivania?

Mi ricordo il rumore della carta che sfogliavi nel giornale per cercarmi, il rumore secco delle forbici.

Sento ancora il profumo della colla sulla mia carta oramai umida.

Ti ho visto quando scrivevi: io ero sopra di te, vedevo la tua testa con i capelli neri e le tue mani che impugnavano la penna.

Ti vedevo impegnata a scrivere sulle pagine bianche e nuove di zecca.

Io sono Ginger Rogers, ballerina e attrice. Ero famosa ( ai tempi). Tu volevi diventare famosa non come ballerina ma come scrittrice.

Sono rimasta qui, attaccata sopra al muro. perché non sei tornata a casa? Come mai mi hai lasciato?

Dicono che tu sei andata in un campo di sterminio, ma io non ci voglio credere.

 

Con affetto

                                                                                  la fotografia che sta sul muro della tua camera

Omar

Ciao Anna.

Ti sto ancora aspettando da quel doloroso giorno, il 6 agosto 1944.

Dove sei stata tutto questo tempo? Che fine hai fatto?

Ti vedevo sempre allegra, nonostante il momento che stavi passando, tu e la tua famiglia. Da un momento all’altro avrebbero potuto prendervi e uccidervi.

Avevi appena tredici anni, nel 1942, quando tu e la tua famiglia entraste  nelle stanze segrete sul tetto. Ti avevano regalato un quaderno per il tuo compleanno.

Avevi un carattere molto particolare, ma in fondo avevi un lato più buono che non facevi vedere. temevi che tutti ti prendessero in giro, ma sei sempre andata avanti nel bene e nel male.

A nove anni sono entrata nella tua vita: sono sempre stata per te un oggetto prezioso. Io ero contenuta in un astuccio di pelle rossa e ai tuoi undici anni mi tenesti nascosta perché la maestra della classe sesta consentiva di usare solo penne con il calamaio.

Un giorno, al tuo quattordicesimo anno una tragedia: mentre eri  a tavola a “pulire i fagioli” non mi trovasti più. Purtroppo , come dicesti tu, ero stata “cremata” ! Trovasti anche la forza di scherzare. Dicesti “E’ stata cremata proprio come vorrebbero fare a noi!”. Ero finita per sbaglio nella stufa!

 

Il 12 marzo 1945 tu moristi a causa di una malattia terribile, in un campo di sterminio.

Spero che un giorno ci rincontreremo ed io sarò ancora tra le tue mani, pronta a scrivere.

 

Con affetto,

                                                                                                                  la tua penna stilografica.

Nikolay

Ciao Anna.

Non ho più avuto i tuoi abbracci da quando sei partita, non ho più ascoltato i tuoi timidi lamenti e i tuoi grandi sentimenti nelle tue parole.

Sono sempre rimasto qua ad aspettarti, in questa casa diventata ora museo.

Non sai quante bambine ho visto guardarmi con uno sguardo simile al tuo e non sai quanto spero di rivederti.

Mi manca di sentire la tua mamma che diceva: “ Sei sempre con quell’orsetto di peluche!” e tu che le rispondevi con quella tranquillità immensa.

Ricordo ancora che eri piccolina e che ti ho guardato crescere fino a quando sei diventata più alta di me.

Che fina hai fatto? Dove sei?

Spero che con quella grazia e con quella forza d’animo che hai sempre avuto fin da piccola tu sia in un posto meritevole e felice.

Con amore

                                                                                                                                        il tuo orsetto

Vincenzo

Ciao Anna .

Ti ricordi di me?

La mia seta color di rosa. rosellino chiaro, senza di te ha smesso di brillare.

La polvere mi vuole far sparire come i soldati che ti hanno portata via. Da quel giorno le cose, qua dentro, sono cambiate.

Mi mancano le domeniche quando mi indossavi e ci guardavamo allo specchio e pensavamo e fantasticavamo della grande festa  per la Liberazione dei campi che avremmo fatto a fine della guerra.

Mi manca il calore e l’amore che mi davi.

Il tuo profumo rimarrà invece sempre nel mio cuore.

Guardarti mentre scrivevi mi rilassava e mi rendeva felice come quando i tuoi capelli mi facevano il solletico sul colletto.

Ora mi ritrovo solo nella casa al 263 di Prensengacht.

Adesso è un museo e una cosa conosciuta da tutti.

Il tuo sogno si è avverato: ora sei una grande scrittrice.

Spero che non mi dimenticherai, mai nonostante gli anni passati, ti voglio bene.

Spero che tu, dovunque tu sia, sia felice.

                                                                                                  Cordiali saluti dal tuo vestito migliore.

 

Francesco

Ciao piccola peste,

è  dalla sera del 4 agosto del 1944 qui al 263 di Prinsergracht che non dormo tranquillo tra le tue braccia accoglienti, calde e morbide…insomma mi manchi.

Io sono rimasto qui, come mi hai lasciato tu, seduto sul tuo letto minuscolo con le spalle al muro freddo rivolto verso quella piccola scrivania, oramai mia amica.

Ti ricordi quando mi portavi in soffitta?

Io guardavo i tuoi occhi, alcune volte eri così concentrata a guardare me, l’albero, Peter e soprattutto quel piccolo topino che usciva  dal muro sotto la finestra; tu eri così spaventata che ti potesse sfiorare!

Ti vedevo scrivere con passione, cura e soddisfazione.

Le tue paure le  condividevi anche con me, mi stringevi fortissimo, per poco non soffocavo.

Quel maledetto 4 agosto perché prima di partire non mi hai avvisato?

Lo sai che è tornato solo tuo papà?

Era più triste del solito.

E’ brutto non sapere che fine hai fatto.

Ma io sono ancora fiducioso che tu possa tornare a tenermi compagnia la notte.

                                                                                                                              Il tuo orsacchiotto.

 

Pietro

La tua dolce mano appoggiata alla mia piccola armatura mi manca moltissimo. Non avrei mai pensato di non vederti più, avevo sperato fino alla fine nel tuo ritorno che non ci fu.

Mi vedevo scrivere e ti vedevo pensare.

Mi avrebbe fatto piacere risentire quel  calore.

Un giorno ti vidi andare via, nell’odio.

Ma nel mio piccolo, cosa potevo fare?

Cercavo di non pensare a tutto ciò. Perché Anna mi hai fatto soffrire così tanto?

Cosa ti è successo?

Sei morta? Sei viva?

Otto… Anna dove è?

Ti volevo bene, ma tutto è svanito

 

Aprile 1945, ciao Anne.


Noi e la shoah. La classe 2ael  al concorso ANED 2017

Ad ogni nome una storia, ad ogni storia una poesia.

 

L'ANED di Savona ogni anno organizza un concorso fra gli studenti delle scuole savonesi per sensibilizzare al ricordo della shoah

Noi abbiamo affrontato, fra i temi proposti, la deportazione femminile nei lager. Lo abbiamo fatto in poesia. E abbiamo vinto.


LILITH

Birkenau

mi fu donata una emozione,

una scintilla di speranza

un sorriso, una femminilità

su un pezzo di carta

stretto tra le mani

atrofizzate

gelate.

Parole che scaldano il cuore

riempiono il vuoto dentro:

scordavo la fame, dimenticavo.

Finite le lettere,

l’incubo ritorna.

Trovato il segreto, scoprii la morte

davanti ad un muro verde.

Fucili puntati per quattro giorni,

ancora fucili.

Finita la paura

Spenta la scintilla

a Birkenau.

Henri

MARIA

Birkenau

Entrai con la vita, dentro di me.

Fasce strette sul ventre

che non bastano,

occhi indiscreti

osservano

fra il freddo tagliente,

luci soffuse,

odore di sporco.

L’invidia, l’odio

corrodono la vecchia signora

privata della maternità.

Ci denuncia. Ci condanna.

Chiusa in una camerata

gelata, sporca

come un animale

ho provato a dare alla luce

il primo ed ultimo figlio.

Il sangue, dolce ed acre

scalda il cuore della vecchia

tra le urla e le sue lacrime.

Inutilmente.

Fra le sue braccia piene di rosso

Il figlio senza nome.

Ed io con lui.

 

Henri

 

STANISLAWA

La notizia.

Svuotamento di Zamo

dove abita la mia famiglia.

Voto a Dio:

ti regalo un pezzo di pane

sporco

vecchio

ammuffito

nascosto sotto il pagliericcio

umido

freddo.

La notte

Il profumo inebriava la mia fame.

Ti prego Dio:

per i miei cari

lo regalo ad una amica

il giorno del suo onomastico.

Ravensbruck

Come una gabbia di mattoni

Muri freddi

Filo spinato

tagliente

come il gelo

che pota le labbra affamate.

Lo sguardo rinchiuso

nel cielo blu

fumi di crematori

fra le cime degli alberi.

 

La natura mi manca

più del cibo

fuori da qui,

dove c’è la libertà.

 

Henri

EVA

Aushwitz.

Entrai sapendo camminare,

uscii senza fare un passo.

Mi lasciarono un segno eterno

oltre l’incubo del passato.

A-26959 il mio numero

celeste come i miei occhi,

cresciuto con me,

inciso nella mia anima.

“Dimentichi sua figlia, non sopravvivrà”

disse il dottore.

Si sbagliava.

Vivo una vita felice ora.

Un giorno nella metro

un ragazzo si è scusato

delle colpe dei suoi antenati:

aveva visto il mio numero celeste

sul mio braccio.

 

Ale

MARIA

Lager

L’inferno dei morti che camminano,

tentai di salvare

il frutto del mio amore.

 

La malvagità dell’anziana

me lo portò via dalle braccia,

quello che più amavo

in cambio di monete.

 

Come una coltellata nel cuore

il mio dolore

denunciata dalla donna ostile:

invidia della pancia.

 

Il pentimento arrivò tardi.

Persi le mie due vite nel

Lager.

 

Ale

N.N. (NOTTI E NEBBIE)

Campo di Ravensbruck

capelli rasati fino alla cute

destinata alla morte

conservai del pane

per amore di mia madre.

 

Fu difficile.

Sentivo l’odore del pane

Sognavo quel pane

Odiai quel pane.

 

La mia vecchia vita

era una fiaba.

Circondata dalle mura

mi mancava la natura

più della vecchia zuppa.

Dio non esisteva.

 

Eravamo Kriuki

Destinati a

scomparire dalla faccia della terra

scomparire  nella notte  e nella nebbia.

Eravamo N.N.

 

Ale

 

LILITH

Una donna

capelli corti

il non ricordo di essere amata.

Solo un pezzo di carta

ti può cambiare:

la luce spenta nel cuore

si riaccende.

La faccia triste scompare,

ora è rossa  e sorridente

è tornata donna.

Poi rinchiusa in carcere

Per quattro giorni.

I giorni di attesa della morte

Invocata per liberarla

dalla tortura.

 

Jhonny

EVA

Mi conoscono come Eva Unlaf

ho 74 anni e sono ebrea.

Sì, hai sentito bene

Sono di una religione diversa

dalla tua.

 

Ho un tatuaggio

Sul braccio destro

di colore

blu.

Blu come il colore dei miei occhi.

Blu come il cielo.

Blu come il mare che bagna

questa terra.

 

Johnny

 

 

ZOFIA

Bambola dai capelli gialli,

sei il mio conforto di tutti i giorni

perché soffri

insieme a me.

Eravamo a Wolbzor, nel ghetto,

unica mia amica,

solo pensavo a tenerti forte,

per non farti cadere.

Ti ho lasciato

partendo per Buchenwald,

il mio cuore piangeva,

ma sapevo che ti avrei ritrovato.

che la vita è più forte.

Non ti potrò lasciare mai,

bambola dai capelli gialli.

 

Johnny

I CAPELLI

C’era un sacco ad Aushwitz

Un sacco pieno di capelli.

Lunghi o più corti

ma dello stesso colore.

 

Forse erano di una donna

Forse era madre o forse no,

forse i suoi occhi erano azzurri

e profondi

come il mare.

Forse era radiosa

come il sole di ogni mattina.

 

Ma in quel sacco ,

trovai solo capelli,

capelli che ormai,

non mi parlavano

più.

 

Enrico

MIA MADRE EVA

In quella foresta dove io ero nata

circondata da alberi

alti e robusti,

sui rami crescevano spine

affilate e taglienti.

Faceva molto freddo,

il sole spariva,

coperto da un fumo nero.

Ma  mia madre mi era vicino,

c’era il suo amore a tenermi caldo.

Prendevamo i sentieri insieme,

ma quelli più calpestati,

dove andava lei c’era sempre vita.

Pensavo di essere nata in una foresta,

come tutte le altre,

ad Auschwitz.

 

Enrico 

ERIKA

Scaraventata nella vita,

da un vagone ferroviario.

Quante stelle ci sono lassù?

Riesco a riconoscere la mia,

è proprio là.

Quella a fianco

è mia madre,

quello a destra

è papà.

Invece intorno

le mie amiche.

Sono felice che stiano brillando,

ma una nube scura

presto

le ricoprirà.

come l’erba che mi accolse.

Scaraventata nella vita

da un vagone ferroviario.

 

Enrico

Qui sotto i link al materiale usato e alla lezione della prof.

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